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Adrien Brody, Un onore raccontare gli immigrati
L'attore tra i favoriti al Golden Globe per The Brutalist
(di Lucia Magi) Nel 2003, a 29 anni e 11 mesi, Adrien Brody ha fatto storia diventando l'attore più giovane a vincere l'Oscar come miglior protagonista per Il Pianista di Roman Polanski. Oggi, è di nuovo in lizza per la statuetta grazie al suo ruolo in The Brutalist, l'epopea di Brady Corbet, Leone d'Argento a Venezia tra i favoriti per la notte delle stelle. La volata verso il 2 marzo inizia domani sera per Brody, che aspira a sollevare il Golden Globe. Nel dramma di 3 ore e 35 minuti (con tanto di intervallo), girato in 70 mm e accompagnato dalle musiche di Daniel Blumberg, Brody interpreta László Tóth, un architetto ebreo ungherese che sopravvive all'Olocausto fuggendo negli Stati Uniti. Qui costruisce palazzine, fino a quando un ricco quanto ottuso magnate, interpretato da Guy Pearce, gli propone una commissione che gli cambierà la vita. "Raccontare l'esperienza degli immigrati è un grande onore per me. Anche mia madre, la fotografa Sylvia Plachy, è emigrata negli Stati Uniti negli anni '50. Lei e i suoi genitori fuggirono da Budapest durante la rivoluzione ungherese e si trasferirono a New York per ricominciare da zero. Questo viaggio di resilienza, speranza e sacrificio è la storia della mia famiglia. E io sono qui, ben radicato e saldo, grazie ai loro sforzi e agli ostacoli che hanno superato", ha detto l'attore durante una conferenza stampa organizzata dalla Critics Choice association a Los Angeles. Il László Tóth del film è un personaggio di fantasia (anche se ha omonimi davvero esistiti, come il geologo ungherese che nel 1972 vandalizzò la Pietà di Michelangelo a San Pietro). "Il motivo per cui Corbet e Mona Fastvold, sua moglie e co-sceneggiatrice, hanno dovuto inventare un personaggio del genere, è che molti creativi sono stati uccisi, mentre molti di quelli che riuscirono a mettersi in salvo in America sono rimasti anonimi", argomenta l'attore diventato famoso a fine anni '90 con Summer of Sam di Spike Lee e La sottile linea rossa di Terrence Malick. La corrente architettonica che dà il titolo al film è stata "trapiantata" negli Stati Uniti proprio da chi fuggiva dall'Europa dopo la seconda guerra mondiale: "Erano edifici che imploravano di essere visti, ma le persone che li realizzavano spesso lottavano per il proprio diritto di esistere". Ecco perché la storia di questo architetto e della sua arte diventa simbolo della complessità del sogno americano: "Nonostante l'assimilazione, nonostante il loro contributo, gli immigrati venivano trattati come estranei. È già terribilmente doloroso lasciare le proprie radici e ricominciare altrove. Figuriamoci la sensazione di non essere nessuno e di non essere all'altezza", riflette Brody, che continua: "Credo che la bellezza del cinema sia proprio questa: ci fa sedere tutti insieme in una stanza buia, ricordandoci che dobbiamo essere vigili e non permettere più intolleranza e oppressione".
W.AbuLaban--SF-PST
