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>ANSA-BOX/ Le mamme del Leoncavallo, 'speriamo non sia la fine'
Gli esponenti del centro, 'a ogni sgombero è sempre più dura'
C'è una nota di rabbia soffocata e scoramento nella voce di Marina Boer quando arriva davanti al Leoncavallo dove non può entrare perché l'accesso allo spiazzo davanti al centro sociale di via Watteau è impedito da una schiera di forze dell'ordine mentre viene data esecuzione allo sfratto che era previsto per il 9 settembre. "Una delegazione di FdI è andata a Roma per chiedere di farlo prima. Sapevamo che poteva succedere, ma speravamo di arrivare a settembre" dice. La presidente dell'associazione Mamme antifasciste del Leoncavallo - creata ufficialmente davanti un notaio dopo lo sgombero del 1989 ma nata come realtà autonoma dopo la morte di Fausto e Iaio nel 1978 - spera comunque che "non sia la fine" anche se ammette che "adesso è molto più difficile". Alcune delle fondatrici delle mamme del Leoncavallo sono morte come Carmen De Mil, che ha ricevuto l'Ambrogino d'oro alla memoria nel 2022, altre sono invecchiate inesorabilmente. Come invecchiati sono parecchi dei manifestanti accorsi davanti al centro, quelli rimasti in una città svuotata dalle ferie estive, mescolati a giovani che si sono anche accomodati per terra a giocare a carte. Non è certo il 1989 quando gli esponenti del Leonka si opposero allo sgombero con veemenza, tanto che intervennero anche le ruspe. Allora "abbiamo fatto resistenza attiva" ricorda Luca Ghezzi, esponente storico del centro. "Dopo la demolizione parziale siamo rientrati e abbiamo ricostruito tutto, ridando vita al centro in via Leoncavallo, fino al 1994 con lo sgombero definitivo", aggiunge. Poco dopo è arrivata l'occupazione di via Watteau "finalmente qui" in un "centro di aggregazione che dà la possibilità anche alle fasce più deboli di socializzare, senza la mercificazione del divertimento, dando la possibilità a tutti di vivere momenti culturali", racconta Ghezzi elencando l'esperienza dell'asilo sociale autogestito, dei corsi di italiano per stranieri, "il laboratorio di serigrafia, la cucina popolare che ha garantito i pasti anche a chi non poteva dare un contributo, il cinema e Downtown, lo spazio sotterraneo con le locandine degli anni '80 e '90 e i murales storici riconosciuti come patrimonio artistico dalla soprintendenza". E ancora l'accoglienza in inverno dei senzatetto che non avevano documenti. Il Leoncavallo "è un posto che per 50 anni ha elaborato e proposto alla città dei modi diversi di rapporti sociali fra le persone, di produzione di attività culturale fatta in modi alternativi", rivendica Boer che "ha pensato a come dare dei servizi a basso costo e far vedere che è possibile gestire anche uno spazio del genere" con modalità "diverse da quello che sta diventando il mondo, che sta diventando questa città", diversa dalla "speculazione". Una speranza è la trattativa con il Comune che continua per l'area di via San Dionigi. Palazzo Marino deve pubblicare il bando e c'è la consapevolezza delle somme ingenti che serviranno per ristrutturarlo. "E' sempre più dura trovare uno spazio alternativo e ricominciare da capo" constata Ghezzi, ma "quello che abbiamo portato avanti negli anni - conclude Boer - è indipendente dai luoghi fisici dove facevamo le nostre attività e proposte culturali e politiche alla città. E continueremo a farlo".
J.Saleh--SF-PST