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Cinque anni per una diagnosi, un'indagine dà voce a malati rari
Analisi di Women in Rare per capire cause e impatto del ritardo
In Europa, una persona con malattia rara aspetta in media 5 anni prima di ricevere una diagnosi corretta. Un ritardo che può compromettere cure tempestive, qualità della vita, lavoro e benessere psicologico. Parte da qui l'indagine nazionale di Women in Rare, il progetto promosso da Alexion, AstraZeneca Rare Disease, in partnership con la federazione di associazioni Uniamo e con il contributo di Censis e Altems, per indagare le cause del ritardo diagnostico e il suo impatto. L'obiettivo è raccogliere dati per orientare politiche concrete e ridurre le disuguaglianze, soprattutto quelle che colpiscono le donne, spesso più esposte sia come pazienti che come caregiver. "La difficoltà nel ricevere una diagnosi corretta e tempestiva ha costi umani, sanitari e sociali altissimi", afferma Ketty Vaccaro, responsabile area salute di Censis. "Comprendere le cause e le conseguenze di questi ritardi è il primo passo per progettare un sistema più equo". Osservatorio nazionale nel campo delle malattie rare, Women in Rare mira, infatti, a produrre dati a supporto di interventi normativi e organizzativi, per migliorare la presa in carico e combattere le disuguaglianze, in primis quelle di genere, non solo tra i pazienti ma anche tra i caregiver: oltre il 90% di chi si prende cura di una persona con malattia rara è donna. Una condizione che espone a stress cronico, rinunce lavorative e isolamento sociale. "Mettere in luce il carico assistenziale invisibile delle donne è fondamentale per costruire politiche di sostegno e servizi inclusivi", spiega Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo. I dati raccolti saranno utilizzati anche per aggiornare il primo database nazionale sulla condizione femminile nelle malattie rare, avviato con la prima edizione di Women in Rare. "Il nostro obiettivo - sottolinea Anna Chiara Rossi, vicepresidente e General Manager Italy di Alexion, AstraZeneca Rare Disease - è contribuire alla costruzione di una sanità più equa, basata su dati oggettivi. Vogliamo fare in modo che nessuno venga lasciato indietro nel percorso di diagnosi e cura".
J.Saleh--SF-PST