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Chloé Zhao, 'Hamnet, viaggio verso gli altri oltre le divisioni'
Il film alla Festa di Roma già fra favoriti agli Oscar
Questo è un film "che parla di dolore, di lutto ma soprattutto parla di metamorfosi. Riguarda la capacità di riuscire a ritrovare il senso profondo delle esperienze umane più contrastanti, e raggiungere quel luogo interiore unico, che c'è in tutti noi, superando l'illusione della separazione dagli altri". Lo spiega la regista premio Oscar per Nomadland, Chloé Zhao, alla Festa del Cinema di Roma per presentare il film che molto probabilmente la riporterà in prima fila per la statuetta, Hamnet, con Paul Mescal e una strepitosa Jessie Buckley, già vincitore al Toronto film Festival e di un'altra mezza dozzina di riconoscimenti internazionali, in sala dal 5 febbraio con Universal. Il film, coprodotto da Steven Spielberg e Sam Mendes, porta sul grande schermo l'omonimo pluripremiato bestseller del 2020 (in Italia è edito da Guanda con il titolo Nel nome del figlio: Hamnet) scritto da Maggie O'Farrell, qui cosceneggiatrice con la regista. La storia trae spunto da elementi reali, come la morte, a soli 11 anni, di Hamnet, unico figlio maschio di William Shakespeare (aveva anche due figlie, la maggiore, Susanna e la gemella di Hamnet, Judith). Il libro rielabora in parte la storia personale del Bardo e immagina che il giovane William (Mescal), a Stratford-upon-Avon, incontri e si innamori di Agnes (Jessie Buckley), ragazza leggermente più grande di lui, solitaria, abile falconiera che vive un rapporto simbiotico con la natura. Quando la giovane rimane incinta i due si sposano. Tuttavia, l'ambizioso William parte, incoraggiato da Agnes, per Londra dove si afferma come drammaturgo. Intanto la famiglia resta a Stratford-upon-Avon dove il drammaturgo in ascesa torna regolarmente. Qualche anno dopo Susanna, Agnes e William hanno i gemelli Hamnet e Judith, ma l'epidemia di peste causa la morte del bambino. Un lutto che devasta i due genitori e porta William a trarre da quel dolore l'ispirazione per la opera più famosa, Amleto. Il percorso di William e Agnes, articolato con anima e profondità in un racconto fra natura e palcoscenico, unisce il confronto con l'amore assoluto e la separazione, il lutto e la catarsi dell'arte, la ricerca di senso, il confronto con l'altro. Temi che risuonano particolarmente in un presente percorso da guerre e morti insensate come quello in cui viviamo. "Anche se sembra inimmaginabile visto ciò che sta accadendo nel mondo, le divisioni e tutto il resto, c'è qualcosa che ci unisce tutti - sottolinea Chloé Zhao -. Qualcosa che passa anche attraverso il coraggio di affrontare le nostre emozioni, quelle che spesso teniamo represse, di cui abbiamo paura". "Ciò che temiamo di più, in un modo rassicurante, ci unisce tutti. È ciò che ci rende umani". Una guerra in corso, in qualche modo, è entrata anche nel film: "Poco prima di andare a cercare delle location per la foresta del film, ero a Kiev, in Ucraina. Mi trovavo con qualcuno che stava girando un documentario ambientato in una striscia di foresta in prima linea. E mentre ero già nella mia foresta in Galles, questa persona mi ha mandato alcune riprese della sua foresta, dove in buche naturali del terreno c'erano mine antiuomo. Sono rimasta colpita, perché anche camminando nella mia foresta vedevo quel tipo di buchi naturali. Ho iniziato a piangere, perché anche in quello ho trovato un senso di unione, di vicinanza".
A.AlHaj--SF-PST
