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The End, famiglia 'sotto sale' in un mondo post-apocalittico
Tilda Swinton e Michael Shannon nel film di Joshua Oppenheimer
"Una volta il mondo era pieno di estranei e noi ci tenevamo a distanza. Ora qui stiamo bene, siamo una famiglia". Questo il rassicurante tormentone della famiglia di sopravvissuti 'sotto sale' raccontata da Joshua Oppenheimer in The End, musical apocalittico in sala da oggi, distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection con il sostegno del ministero della Cultura. Il mondo è finito, ma non per tutti. Infatti in un bunker sotterraneo, in una cava di sale dismessa, arredata come una sorta di Wunderkammer piena di opere d'arte e meraviglie varie, vivono Madre (Tilda Swinton), ex ballerina, Padre (Michael Shannon), manager nel settore energetico, e Figlio (George MacKay), più una sparuta servitù. Tutti cercano di mantenere una parvenza di normalità, aggrappandosi a quei piccoli rituali quotidiani che danno ordine al caos. Ma l'arrivo, dopo vent'anni, di una ragazza dall'esterno (Moses Ingram) e soprattutto i sensi di colpa di tutti questi sopravvissuti, a cui non mancano scheletri nell'armadio, inevitabilmente incrineranno il delicato equilibrio di questo idillio familiare circondato da un mondo esterno che si spegne lentamente tra mille incendi. Scritto da Oppenheimer insieme a Rasmus Heisterberg (A Royal Affair, In the Blood), questo racconto post-apocalittico ha tra i suoi meriti anche il fatto di essere l'esordio nella fiction del regista due volte candidato agli Oscar e noto per documentari come The Act of Killing (2012) e The Look of Silence (2014), entrambi dedicati al colpo di stato nel 1965 in Indonesia e al genocidio perpetrato dai paramilitari. "Penso che tutte e tre queste opere siano in realtà meditazioni sulla narrazione, su come creiamo la nostra realtà e conosciamo noi stessi attraverso le storie che raccontiamo - dice il regista -. Vale a dire, la capacità unicamente umana di mentire a noi stessi sapendo di mentire. Il che è davvero sorprendente e credo sia ciò che determinerà la nostra caduta. The Act of Killing e The Look of Silence sottolineano entrambi una sorta di continuità con un'apocalisse che non è solo la fine del mondo, ma la distillazione del nostro comportamento distruttivo nel presente. Perché, non so se è chiaro, siamo già 'dopo la fine', stiamo già vivendo in un bunker pieno di bugie e autoinganno per l'incapacità di affrontare la verità".
Y.Shaath--SF-PST
