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Sardegna: Vita da Minatori
Sotto le scogliere di Masua e tra i poggi del Sulcis-Iglesiente, la Sardegna custodisce ancora un cuore di roccia. Qui il lavoro “da minatore” non è scomparso: è cambiato pelle. Alle vecchie gallerie del carbone si affiancano cantieri di messa in sicurezza, bonifiche ambientali, siti museali e cave lapidee dove perforazioni, tagli e brillamenti scandiscono turni, procedure e allarmi. La scena quotidiana resta quella di elmetti, maschere antipolvere e sirene: crolli da prevenire, polveri da abbattere, esplosioni da programmare.
Dopo il carbone: chiusure e riconversioni
La produzione di carbone nell’ultima miniera del Sulcis si è fermata a fine 2018. Da allora l’area vive una lunga fase di chiusura “assistita”: messa in sicurezza, ripristino dei siti, riconversione industriale. Nel 2025 la Regione ha imboccato la fase finale: tutele per i lavoratori rimasti e un percorso di rilancio che punta su ricerca, energie pulite e nuovi usi delle infrastrutture sotterranee. L’immagine del minatore, qui, oggi è spesso quella di chi ispeziona gallerie, mette centine, drena, monitora pareti e imbocchi per ridurre il rischio di cedimenti.
Crolli evitati: sicurezza e cantieri in ex siti minerari
Dove la roccia “tira” e le volte sono fragili, il primo compito è impedire i crolli. Nei poli storici – Monteponi, Campo Pisano, Serbariu – la giornata di molti addetti scorre tra consolidamenti, recinzioni di gallerie dismesse, drenaggi e coperture provvisorie. È un lavoro silenzioso e tecnico, fatto di carotaggi, reti paramassi, chiodature e colate: la differenza tra un tunnel riaperto ai visitatori e un varco interdetto per rischio di collasso.
Polvere: la linea rossa della salute
La polvere resta il nemico invisibile. La storia mineraria sarda ha conosciuto la silicosi; oggi la prevenzione è routine: abbattimento polveri con acqua in perforazione e taglio, ventilazione forzata nelle cavità, DPI ad alta efficienza. Nei cantieri di bonifica e nelle cave, i protocolli obbligano a misurare, bagnare, aspirare. È anche una questione di cultura della sicurezza: checklist ad ogni cambio turno, presidi sanitari e formazione sulle esposizioni alla silice cristallina.
Esplosioni controllate: il brillamento come mestiere
“Esplosioni” in Sardegna significa soprattutto cava. Nelle litologie compatte si alternano filo diamantato, segatrici a catena e brillamenti programmati. Nulla è lasciato al caso: gli esplosivi omologati, i detonatori, i tempi di ritardo, l’evacuazione e le sirene sono regolati da norme stringenti. Il minatore di cava – spesso “artificiere” abilitato – prepara i fori, carica, sigilla, mette in sicurezza, segnala. Il boato dura secondi; il resto è controllo e ripristino.
Numeri e lavoro: le cave del marmo di Orosei
Sul versante orientale, le cave del Marmo di Orosei sono tra i cantieri lapidei più rilevanti d’Italia. In vasche “a cielo aperto” si estraggono blocchi che alimentano segherie e laboratori in tutta Europa. È un lavoro fisico e specialistico: si manovrano fili diamantati, pale gommate da decine di tonnellate, carriponte, si orientano i tagli lungo i piani di stratificazione per ridurre fratture e scarti. La polvere calcarea imbianca tutto: per questo si nebulizza, si lava, si copre. E quando la roccia non concede, torna il brillamento, con finestre operative puntuali per ridurre vibrazioni e rischi.
Incidenti che ricordano quanto sia sottile il margine
Se procedure e tecnologia hanno alzato l’asticella della sicurezza, il rischio non scompare mai. Le cronache del 2025 hanno ricordato quanto una scala, un bordo cava, un ancoraggio possano trasformarsi in una caduta grave. È la ragione per cui nei piazzali si ridisegnano percorsi separati uomo-mezzo, si forzano imbragature anche per lavori “di pochi minuti”, si moltiplicano parapetti e linee vita.
Bonifiche e memoria: Monteponi, Serbariu, Porto Flavia
Accanto ai cantieri, c’è la memoria viva. La Grande Miniera di Serbariu ha sospeso le visite nel 2024 per lavori di ristrutturazione; Monteponi continua interventi su discariche storiche e fronti instabili; gallerie e tratti ferroviari dismessi vengono riaperti o chiusi in base ai nuovi rilievi di sicurezza. Sul mare, Porto Flavia e la Laveria Lamarmora restano simboli mondiali di archeologia industriale: qui il paesaggio chiede protezione e coerenza con qualsiasi progetto contemporaneo.
Il paesaggio del lavoro: camminare sulla storia
La fatica dei minatori si può ancora “toccare” a piedi. Il Cammino Minerario di Santa Barbara è un anello di circa 500 chilometri in 30 tappe che unisce laverie, pozzi, villaggi e scogliere. È diventato un volano economico per B&B, rifugi, guide e trasportatori locali: un modo per trasformare trincee e gallerie in itinerari, senza rimuovere le ferite del territorio.
Dal sottosuolo all’energia: idrogeno, gravità e dati
Il futuro del lavoro “in miniera” potrebbe essere energetico: laboratori e progetti sull’idrogeno verde a Carbonia, prototipi di accumulo gravitazionale che usano pozzi e cavità come “batterie”, perfino data center energivori che appoggiano a connessioni e infrastrutture elettriche esistenti. È una riconversione che chiede competenze tecniche da minatori 4.0: cablaggi in sotterraneo, sensoristica, gestione del rischio, logistica ipogea.
Tradizioni che resistono: Santa Barbara
Il 4 dicembre, tra Montevecchio, Iglesias e i paesi minerari, si celebra la patrona dei minatori e degli artificieri. È il giorno in cui i caschi sfilano accanto ai simulacri, le sirene tacciono e le storie di galleria si raccontano a cielo aperto. Un rito civile oltre che religioso: una comunità che si riconosce nel lavoro e nei suoi caduti.
Conclusione
In Sardegna il mestiere del minatore non è un reperto museale. È un lavoro che continua – diverso, più tecnico, più normato – nelle bonifiche, nelle cave, nei siti di archeologia industriale e nei progetti energetici. La triade che lo definisce resta la stessa: crolli da evitare, polvere da domare, esplosioni da governare. È in quell’equilibrio che si misura, giorno per giorno, la vita dei minatori di oggi.
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