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L'ode al Tevere e a Roma del 'Figlio di Giano'
Evento speciale alla Festa di Roma l'opera seconda di Grispello
(di Giorgio Gosetti) Evento speciale alla Festa del Cinema di Roma, l'opera seconda di Luigi Grispello "Figlio di Giano" può a tutti gli effetti andare nella categoria del "documentario di creazione", fin dal progetto narrativo che sta dietro a un riuscito mix di immagini d'archivio, racconto di un personaggio e presa diretta su uno squarcio emotivo della città eterna. Protagonista del racconto è un uomo qualunque, taciturno e mingherlino, Marco Fois, il nuovo "Mr.Okey" del volo d'angelo nelle acque del Tevere il giorno di Capodanno. A dare respiro a questo ritratto è la voce di Giorgio Tirabassi che si cala nei panni di Giano, nume tutelare della città e divinità fluviale romana che incarna il fiume che attraversa la città. Il Giano Bifronte che apre e chiude le porte di Roma al passare dalla pace alla guerra, che scorre sotto i ponti e accompagna lo sguardo sotto Castel Sant'Angelo, registra dal dopoguerra la comparsa di un'icona del folklore, il tuffatore un po' pazzo che ogni Capodanno sfida il freddo e raccoglie gli applausi della folla con un tuffo di almeno venti metri al rimbombo del cannone di mezzogiorno. Il film si apre con un ideale passaggio di testimone tra il canuto bobybuilder Angelo Blasetti e l'ormai veterano Marco Fois che fino ad allora era la sua "spalla", chiamato a tuffarsi per riscaldare la folla. Da quel momento in poi tocca a lui, raccontato dal regista nella sua vita ordinaria alla cucina mobile del suo camper dove frigge salsicce e panini, tra gli amici di sempre e gli allenamenti solitari in una piscina vuota. Spicca la differenza tra il primo tuffatore (il corpulento Rick De Sonay che si lanciava seguendo il cilindro gettato nel Tevere (da cui il soprannome) fino al "gladiatore" Blasetti e poi a lui, davvero un "anonimo romano" che una volta l'anno diventa eroe e protagonista quasi suo malgrado. C'è una poesia sottile in "Figlio di Giano" che seduce con lo scorrere del racconto e ne fa, alla fine, quasi una leggenda antica, ricordando tra l'altro che già Seneca, ai tempi di Nerone, si tuffava nel gelido inverno di allora. Molto del fascino di questo film - giustamente presentato nel contesto di una grande festa popolare come è oggi il festival diretto da Paola Malanga - viene però dalla sensibilità di ripresa e dall'agilità del montaggio. Va a merito dei produttori, Lorenzo Mieli e Mario Gianani, insieme a Rai Cinema, essersi affidati a talenti giovani di sicuro valore come il direttore della fotografia Bernardo Massaccesi e il montatore Luca Armocida che interpretano perfettamente un'idea di cinema contrappuntata dalle musiche d'epoca nello stile di Piero Piccioni o Bruno Canfora. Bernardo Massaccesi in particolare riesce a catturare le luci della Roma di oggi, tra bianco e nero e colore, sfumando la vividezza del documentario in un tono visivo che profuma di ieri, mentre il montaggio miscela con eleganza i filmati di repertorio con la ripresa del vero tra due Capodanni, quello del 2024 e l'oggi. "Figlio di Giano" si chiude con una suggestiva ripresa in solitario di Marco Fois e va fatta una menzione speciale ai famosi "titoli di coda" che hanno la forza di sintetizzare in poche inquadrature tutto il sapore del viaggio.
J.AbuHassan--SF-PST
